Enzo Mari, The big stone game, campo da giochi in marmo, 1968

La poliedrica produzione del designer milanese Enzo Mari conta nel suo novero molti progetti di giochi didattici e libri per bambini, per i quali ipotizza una serie di temi – i cicli della natura e la lotta per la sopravvivenza tra questi – da affrontare senza ricorrere a riduzioni al linguaggio infantile.
Nel corso degli anni Sessanta, Mari raccoglie l’invito a progettare alcuni spazi di gioco che ipotizza come aperti e disponibili alla sovrapposizione di storie da parte dei bambini: la libertà insita nell’appropriazione, costruzione e organizzazione di questi spazi (“del proprio habitat” [1]) è riferimento del designer nella progettazione[2].
Nel 1968 Mari viene incaricato dall’Ente del Marmo di Carrara di progettare un campo da giochi da esporre alla III Mostra Nazionale del Marmo; l’opera sarà collocata nell’area verde di pertinenza dell’esposizione, tra i lavori di diversi scultori e architetti. Mari decide “di costruire una sorta di spazio allusivo di questa possibilità di gioco e di questa libertà di interpretazione del luogo”[3].
The big stone game è una piattaforma per i giochi che consiste in uno spazio scoperto a base quadrata, con pavimentazione in lastre di ardesia quadrate, delimitato in prossimità degli angoli da quattro coppie di pareti in marmo, ciascuna dotata di una coppia di fori ovali variamente disposti; le otto pietre sono orientate verticalmente, con larghezza pari 125 cm e altezza di 250 cm, e 250 cm è la misura dello spazio compreso tra due pietre poste lungo lo stesso lato, portale di accesso allo spazio dei giochi.
L’assenza di un contesto entro cui inscrivere la sua opera, quale potrebbe essere il giardino di una scuola d’infanzia, pone il designer nella condizione di immaginare un luogo circoscritto, della dimensione contenuta di circa 6 m per lato, in antitesi alle infinite possibilità che un ambiente aperto di qualsiasi tipologia (il giardino di una scuola, un parco, una piazza) può offrire.
La polarità tra lo spazio interno, quello intimo del gioco, e l’esterno, quello pubblico dei grandi, si costruisce attorno alla citazione delle strutture megalitiche, con la loro forza evocativa e la condensazione di richiami temporali e di orizzonti di civiltà che preserva e consegna al presente. Lo spazio sacro, compreso tra le otto cortine litiche, rimane vuoto, non accetta interferenze da parte di attrezzature funzionali per il gioco poiché risulterebbero un limite alla libertà creativa del bambino.
Enzo Mari ha donato allo CSAC 20 schizzi numerati e un disegno esecutivo relativi al progetto The big stone game. È interessante osservare come gli schizzi afferiscano a due momenti precisi dell’evoluzione dei ragionamenti sul progetto: una prima parte definisce alcune ipotesi progettuali mentre il secondo blocco descrive le fasi di elaborazione dell’ipotesi scelta, muovendo da assonometrie popolate di bambini per arrivare a trattare questioni pratiche come la dimensione e la quantità delle piastre della pavimentazione.
Questi schizzi fanno parte del Fondo Mari conservato allo CSAC, che raccoglie oltre 8000 unità archivistiche ed è frutto di una donazione avvenuta in tre fasi a opera dello stesso autore tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. I materiali donati da Mari concorrono a costruire l’immagine di un progettista impegnato nell’analisi della contraddizione tra lavoro intellettuale e lavoro materiale, nell’aspirazione ad affrontare il lavoro come una totalità inscindibile tra pensiero, mestiere e azione.

Anna Ghiraldini


[1] R. Pedio, Enzo Mari designer, Bari 2004, 89.
[2] E. Mari, L’arte del design, Milano 2008, 135.
[3] A. C. Quintavalle, Enzo Mari, Parma 1983, 210.


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