Lo studio Figini Pollini. L’elemento verde e l’abitazione

Fascia Servizi Sociali Olivetti Ivrea, Spaccato assonometrico (1954-1957) Disegno n.160 China su lucido 475X844 mm. B001444S

I primi contatti tra gli architetti e lo CSAC avvengono in concomitanza con il convegno Il disegno di architettura promosso dal Dipartimento Progetto il 23-24 ottobre 1980. Gino Pollini (1903-1991) offre, in quell’occasione, un importante contributo alla discussione sul problema della raccolta e conservazione del disegno d’architettura contemporaneo. Risale a quell’anno la decisione, condivisa con Luigi  Figini (1903-1984), di donare allo CSAC gran parte del proprio archivio.  I progettisti iniziano la selezione dei materiali da consegnare a Parma, interessandosi altresì alla definizione della politica di acquisizione e al funzionamento del Centro. La donazione (6976 disegni, tre maquette e 51 pannelli espositivi), è perfezionata da Gino Pollini il 23 gennaio 1990.
Nel 1926 Luigi Figini e il coetaneo Gino Pollini, il primo da poco laureato, l’altro ancora studente al Politecnico di Milano, già inseriti nel circuito culturale milanese, fonda con Ubaldo Castagnoli (poi sostituito da Adalberto Libera), Guido Frette, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava e Giuseppe Terragni, il Gruppo 7.  Il rinnovamento dell’arte e dell’architettura, che questi giovani perseguono con slancio e passione, fa del Gruppo 7 il momento inaugurale del razionalismo architettonico italiano. L’opera che meglio li rappresenta è la Casa Elettrica, commissionata dal gruppo Edison, realizzata per la IV Esposizione internazionale delle arti decorative a Monza. Nel 1931 il Gruppo, che aveva preso parte alla fondazione del MIAR, si scioglie, mentre il sodalizio professionale di Luigi Figini e Gino Pollini, dopo l’avvio nel 1929 del loro studio di architettura, si consolida. Nel 1933 alla V Triennale di Milano realizzano la Villa-Studio per un artista, nel 1935 Figini progetta la propria abitazione al Villaggio dei Giornalisti a Milano. È un riuscito esempio, questo, del rapporto tra l’edificio e la natura. La progettazione del verde nell’architettura è un aspetto fondamentale nel lavoro Figini, che nel 1950 pubblica L’elemento verde e l’abitazione. Tema più che mai centrale in quest’epoca di emergenza ambientale.
Adriano Olivetti incontra i giovani Figini e Pollini alla V Triennale, ne ammira la forza immaginativa e gli affida il compito di progettare un nuovo scenario urbanistico per Ivrea. Interpreti consapevoli e raffinati dell’utopia comunitaria olivettiana, Figini-Pollini sono architetti della trasformazione del rapporto tra lo stabilimento e il territorio; progettisti della sistemazione ambientale dell’abitazione; ideatori dell’espressione negli spazi del felice connubio tra mente e corpo auspicato nella città ideale: luogo produttivo, spazio della socialità comunitaria, paesaggio e ambiente della vita quotidiana.
La soluzione esagonale adottata per la Fascia dei Servizi Sociali (1955-59), sostenuta da Adriano Olivetti, direttamente coinvolto nello studio del progetto, articola la continuità tra l’interno e l’esterno e si apre ad accogliere la vegetazione circostante.
Le iniziative di Olivetti in campo urbanistico non riguardano solo Ivrea. Il suo disegno di riforma sociale e politica si esprime anche in altre realizzazioni, com’è il caso dell’Unrra-Casas (United Nations Relief and Rehabilitation Administration – Comitato Amministrativo Soccorso ai Senzatetto), il programma istituito ne 1946 per gestire i fondi Erp (European Recovery Administration) di cui Olivetti era dal 1951 Vice Presidente. Tra gli interventi dell’Unrra-Casas vale ricordare il villaggio La Martella a Matera (1951-1954) progettato dal gruppo coordinato da Ludovico Quaroni.
Figini e Pollini negli anni della Ricostruzione contribuiscono al rinnovamento dell’edilizia economico e popolare avviato dal piano INA-Casa, basti ricordare il progetto urbanistico per il quartiere di via Harar-Dessiè a Milano in collaborazione con Giò Ponti. Nell’ambito del piano di costruzioni e incremento economico dell’Unrra Casas, destinato a un gruppo di profughi giuliani sfollati in Sardegna, gli architetti danno avvio al progetto per il Borgo di Porto Conte (1951-1953), sulla costa occidentale della Sardegna. I materiali grafici del progetto, non realizzato, documentano lo studio del territorio e l’attenzione per l’architettura spontanea della zona di Alghero, ricollegandosi alle indagini sull’architettura rurale avviati a metà anni Trenta da Giuseppe Pagano.  Lo studio della complessa planimetria con le diverse tipologie abitative (case per pescatori e agricoltori) e le attrezzature sociali (la scuola, la chiesa) prendono avvio dallo studio del paesaggio naturale. Gli architetti tengono, come pochi altri, conto delle preesistenze ambientali e della conformazione del territorio.
Per gli architetti Borgo Porto Conte è un progetto esemplare, tant’è che Gino Pollini lo presenterà nella sessione Urbanisme coordinata da José Lluìs Sert al IX CIAM tenutosi ad Aix-en-Provence dal 19 al 26 luglio 1953. Il tema della IX edizione, forse il più importante congresso CIAM del dopoguerra, è l’habitat. Ci si interroga su come ripensare la città in termini di habitat, si riconosce l’importanza delle relazioni tra il progetto e l’ambiente, si coltiva il desiderio che l’architettura possa agevolare il benessere degli abitanti. La gamma di articolazioni formali e quadri teorici delle soluzioni architettoniche sono assai ampi, pur nel comune intento di avviare nuove prospettive relazionali. E sappiamo che il progetto per Borgo Porto Conte suscitò l’interesse di molti, proprio per la sua rispondenza all’interconnessione tra paesaggio naturale e progetto domestico.

Lucia Miodini


consulta il fondo all’interno del nostro catalogo