Al Salone delle Scuderie, nel febbraio del 1969, è inaugurata una vasta antologica di Mario Ceroli. La rassegna consacra ufficialmente l’arte di uno dei nostri più validi giovani scultori (31 anni) e ripropose, seppur indirettamente, alcuni problemi della scultura contemporanea, ovvero quello di un nuovo spazio per l’uomo.
Il fascino delle opere di Ceroli sta nella freschezza dell’invenzione e del materiale con cui sono fatte, che mette subito a proprio agio il pubblico, invitandolo a partecipare attivamente.
Senza rinunciare alla forma, Ceroli ha ridotto l’oggetto alla mera proiezione che crea un effetto pittorico di mobilità.
Ceroli ha dato origine a nuove dimensioni dell’immagine seriale, però tenendosi fermo a una sorta di articolazione ironica nella convinzione di giocare coi paradossi (in legno grezzo, in tavole, al posto del gesso, del marmo, del bronzo).
La figura (uomo o farfalla, fiore o cavallo che sia) viene ingabbiata ma non chiusa: è aperta ad accogliere il tempo e le sue perturbazioni.
Ceroli
