Nero a strisce: la reazione a fumetti

dal 11 febbraio 1971 al 15 marzo 1971

Oltre quindici milioni di italiani legge fotoromanzi e fumetti nel 1970, ecco perché un gruppo di studenti e di laureati dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università  di Parma ha organizzato una mostra critica inerente a questi media, tentando di cogliere i modelli di civiltà, gli schemi di comportamento che vengono proposti ai lettori da questi messaggi all’apparenza disimpegnata e nella sostanza fortemente ideologizzata e condizionanate . Il fotoromanzo vive in una metasfera nella quale dovunque l’azione si svolga, l’ambiente è solo un richiamo e viene eluso con tutti i suoi concreti problemi; la campagna e il lavoro contadino come quello di fabbrica.
La rassegna, che consiste in circa 500 ingrandimenti fotografici ad opera di Massimo Mussini di varie misure, insiste in modo particolare su due temi: famiglia e società da un lato, guerra e violenza dall’altro. Come scrive Quintavalle, “il fotoromanzo è una riproduzione della vita reale, quotidiana, o meglio di quella che si vorrebbe fosse la vita reale.” Questa immagine è il linguaggio tipico con cui una società borghese attua la repressione. Il problema prevalente è il riscatto dalla condizione di “povero”, e questo riscatto ha delle strade obbligate: per gli uomini è la competizione, il salto di classe, mentre per le donne la strada è l’amore, da raggiungere a tutti i costi”. Questa “vicenda tra lui e lei”, deve finire nel matrimonio, un matrimonio borghese, dove l’uomo è padrone e la donna deve essere totalmente dedita al marito. L’ideologia del fumetto erotico o di quello del superman è solo apparentemente diversa da quella del fotoromanzo: entrambi i generi sono rivolti ad un pubblico da reprimere.
Il secondo filone messo a fuoco dalla mostra è rappresentato dal binomio guerra-violenza. La violenza è sempre affiancata ad una divisione del mondo in buoni e cattivi.
La mostra vuole dire che l’uomo mascherato nasconde il volto di ognuno di noi, che la vittoria di alcuni agenti non rappresentano che la superiorità dell’Occidente, e che i western si riferiscono all’ attuale problema razziale.

Comunicati stampa

L’Espresso, il 28 marzo 1971 pubblica un articolo di Umberto Eco: “Fascio e Fumetto”

Da qualche settimana, sensibilizzata dai roghi dell’Aquila, dalle barricate di Reggio e dal teppismo piccolo borghese di Piazza San Babila a Milano e dai clamorosi tentativi di complotto “patriottico” a Roma la cultura democratica italiana si sta accorgendo che la sottocultura neofascista ha la sua letteratura. Non le edizioni clandestine del “Mein Kampf” o i dischi coi discorsi del Defunto già diffusi anni fa in edicole, non i giornaletti di gruppo o di corrente già elencati da “L’Espresso”, ma una vera e propria cultura di massa, letta anche da chi non fa professione di neofascismo. Il fascismo italiano ha i suoi fumetti. Fumetti non sono solo le strisce intellettuali diffuse da “Linus” né le storie di Topolino o dell’Uomo Mascherato. C’è un fumetto fascista, e, alla luce di quest’ultimo, è forse possibile interpretare tutto il fumetto per adulti e gran parte di quello per bambini come fumetto fascista, o almeno, reazionario.

Extra

i testi sono di Luigi Allegri, Ombretta Guarnieri, Savina Iori, Nadia Manghi, Rossella Ruggeri, Paolo Zoboli, Arnaldo Conversi, Laila Marangoni.